Visso
Il Comune di Visso, a cavallo tra l’Umbria e le Marche, durante i mesi di lotta divenne un punto di riferimento per molti gruppi partigiani. La popolazione del luogo si dimostrò generosa e comprensiva nei confronti degli ex prigionieri, scappati dal campo di internamento di Colfiorito e dei tanti giovani che dall’8 settembre si erano dati alla montagna. Le prime formazioni di patrioti che facevano capo a Visso si formarono sotto l’impulso di Pietro Capuzi e del capitano Melis, responsabile della parte operativa.
Roberto Battaglia, in un libro scritto nei mesi precedenti all’insurrezione nazionale del 25 aprile, forniva un affresco interessante del suo primo incontro con i partigiani dell’Appennino umbro-marchigiano. Il giorno che decise di raggiungere Visso, camminando a piedi tra la neve, immaginava di trovare lungo il tragitto sentinelle e numerosi posti di blocco, invece si trovò di fronte un paese tranquillo come molti altri dell’Umbria appenninica, solamente un po’ più frequentato. I partigiani giravano liberamente tra le case, distinguendosi dai paesani solo per qualche particolare negli abiti, come potevano essere i fregi tricolori o i giubbetti rossi. Battaglia scriveva: ≪M’accolse nella sua casa, aperta a tutti senza sospetto, Pietro Capuzi che animava il movimento partigiano con la stessa cura con cui un buon sindaco dei tempi passati avrebbe pensato agli interessi pacifici del suo villaggio. Sorridente, grassoccio, col cranio lustro, mi parlò con compiaciuta saggezza dei suoi ragazzi e dell’idea socialista, del Comitato di Liberazione di Roma che rappresentava e del Comando Unico umbro-marchigiano che aveva in animo di costituire≫ (Battaglia, 1945, p.35-36).
Comandante militare del movimento era invece il capitano dei bersaglieri Ernesto Melis che, dopo l’armistizio si era riparato in montagna nell’alta valle del Nera, da dove organizzò le prime azioni contro i militari tedeschi in transito. Melis divenne una figura leggendaria dopo che il capo fascista della provincia di Perugia, Armando Rocchi, gli intimò attraverso un bando affisso sui muri di molti paesi di desistere dalla sua attività e di costituirsi. Da allora la maggior parte dei paesani si interessarono in modo particolare al perseguitato, non con l’intenzione di denunciarlo, bensì di avvicinarlo in qualche modo per vedere come fosse fatto e raccontarlo poi agli altri. Nacquero così numerose leggende intorno alla sua figura. Nel frattempo cominciarono ad indirizzarsi a lui i tanti giovani intenzionati a sfuggire all’arruolamento per l’esercito di Salò o per il servizio lavoro e proprio con i suoi uomini, Melis risalì il Nera fino a Visso.
Roberto Battaglia ricordava anche di come l’atmosfera di quella “zona libera” fosse delle più particolari: ≪Tutta la vita era a Visso una specie d’innocente “doppio gioco”, retto dalla prudenza paesana e dall’orgoglio municipale per questa nuova attività e potrà oggi sembrare, dopo tanti dolori, un esperimento ingenuo e inconsapevole delle dure necessità della guerriglia. Non si può negare che sia stato questo, ma bisogna ammettere che era nel tempo stesso un primo tentativo di renderla popolare, di avvicinarla senza sforzo anche agli elementi più umili, forse il miglior risultato che si potesse ottenere …≫ (Battaglia, 1945 p.37-8).
Anche Celso Ghini, responsabile per il partito comunista della zona umbro-marchigiana, serbava ricordo della zona di Visso come di una specie di repubblica autonoma, dove però il capitano Melis aveva assunto la carica di “signore indiscusso della guerra”, che non riconosceva l’autorità del CLN. In realtà la banda di Visso era collegata attraverso Capuzi al CLN di Roma, con cui avvenivano frequenti contatti. Tuttavia è ipotizzabile che Melis, a causa delle minacce scambiate con il capo della provincia di Perugia Rocchi e in quanto geloso della propria autonomia di azione, avesse in parte ridotto le attività del gruppo, andando contro le aspettative del CLN di Roma. Quest’ultimo era intenzionato a realizzare nell’Appennino umbro-marchigiano un comando politico-militare unificato, per migliorare e ampliare la lotta e per questo vennero fatti numerosi tentativi di coordinamento. Si pensi al convegno di San Maroto del 18 gennaio 1944 o a quello di Fematre, frazione di Visso, del 10 marzo. Ciò nonostante non si arrivò mai ad una risoluzione condivisa e attuabile. La difficoltà risiedeva anche nel fatto che il territorio interessato si trovasse a cavallo tra due provincie e due regioni e che mancassero adeguati collegamenti tra i vari CLN: tra quello di Tolentino e di Foligno da un lato, e quello di Perugia e Macerata dall’altro. Solo alla fine di marzo, nel corso del convegno di Riofreddo, altra frazione di Visso, fu costituita la Brigata Spartaco, il cui comando venne affidato al tenente Giorgio Gatti. La Brigata incorporò soprattutto le bande dell’alto maceratese: Visso, Serravalle, Massa, Fiastra e Fiungo; non parteciparono e restarono fuori le bande di Monastero e Piobbico, ma anche il CLN di Macerata e la missione “Man”, che dopo l’eccidio di Montalto aveva spostato la sua attenzione nella zona del Pesarese.
Le operazioni di rastrellamento che interessarono le provincie di Ascoli e di Macerata nel mese di marzo, toccarono anche il Vissano. Il 17 marzo un nucleo di circa 500 militi si diressero verso la città, che fu in poco tempo saccheggiata e devastata. Alcuni abitanti furono feriti, altri vennero uccisi. Successivamente, dal 10 di aprile fino alla fine del mese, venne impiegata più di una divisione in successive azioni di accerchiamento. I partigiani contrattaccarono tra Ferentillo, Comunanza, Cascia, Ancarano, Biselli, Montegallo e Sarnano.
Pietro Capuzi verrà tradito da una spia e sarà fucilato ad Ussita il 26 maggio mentre il comandante Melis, anch’egli catturato in quei giorni, concordò l’uscita dalla lotta.
Bibliografia
AA.VV., Tolentino e la resistenza nel Maceratese, Accademia Filelfica, Tolentino 1964.
R. Battaglia, Un uomo un partigiano, edizioni U, Roma-Firenze-Milano 1945.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.