Augusto Pantanetti
Urbisaglia 13 novembre 1915 – Macerata 30 marzo 1999.
Partigiano Medaglia d’argento al valor militare. Impiegato di banca, nell’ottobre del 1939 parte come sottotenente di fanteria per l’Albania. Rientra in Italia nel 41 per poi ripartire per la Grecia nel 1942 con il grado di tenente. Ritorna in licenza straordinaria nel luglio del 1943 per la morte della madre. Tornerà a Macerata e dopo l’8 settembre si ritrova ufficiale e, come tanti altri graduati, deve prendere una decisione, fare una scelta. Si trova a Urbisaglia, sua città natale, e con il suo cugino e amico Antonio, che purtroppo sarà una delle vittime dei violenti scontri con il nemico, discutono il da fare e decidono insieme di non restare a guardare. Si ritirano a Monastero, sui monti che sovrastano Cessapalombo, definito dallo stesso Pantanetti “una eccellente posizione che con poche armi si dovrebbe difendere bene” (p.28 del suo libro). Piano piano si forma il gruppo. Ci sono due mantovani, Gino e Franco, un parmense, Giovanni Soncini, poi il cuoco della brigata, due ex prigionieri britannici, due ebrei di origine austriaca fuggiti da Trieste, Guido Lamonaca e alcuni polacchi. E c’è Mario Del Missier, il vice di Pantanetti, sottotenente di artiglieria del regio esercito, di origini calabro friulane, di 24 anni. Pantanetti ne ha 28 ed è eletto comandante con votazione democratica.. Come ha scritto Max Salvadori (anche se resta un piccolo sospetto di parzialità per la sua amicizia con Pantanetti) “inizia a Monastero la Banda Nicolò, una delle più efficienti dell’intera provincia e nucleo centrale del Gruppo bande che occuperà la zona fra Amandola e San Ginesio“. Abbiamo dunque a che fare con una delle principali organizzazioni partigiane della intera provincia.
In montagna nella zona di Monastero dove era dislocato il suo gruppo, incontra Ruth Wartski, una profuga ebrea di Danzica, che già nel 1944 diventerà sua moglie.
Lo stesso Pantanetti nelle sue memorie suddivide così le fasi della guerriglia nell’alto maceratese: “un primo periodo è costituito dal formarsi delle bande e dalla politica di irretimento adottata dai nazifascisti che cercavano di persuadere le popolazioni e i giovani ora con lusinghe ora con minacce, ora con duri esempi (come la fucilazione di Mario Batà nel campo di Sforzacosta).
Un secondo periodo, che va all’incirca dal febbraio al maggio 1944, di lotta vera e propria fra ingenti forze nazifasciste e formazioni partigiane di montagna, con conseguente fucilazione in massa di prigionieri. Un terzo periodo infine è costituito dalle più dure rappresaglie e dalle più nefaste atrocità per incutere paura alle popolazioni e per avere le spalle al sicuro durante la ritirata dell’esercito. Esiste anche un quarto periodo, quello della liberazione e del trionfo finale (pp.23-24).
Di tutta questa storia la banda Nicolò è protagonista. Si comincia da quell’inverno 1944 nel quale restano fisse nella memoria soprattutto sensazioni come il freddo, la fame, la paura. E poi i problemi legati al grano che scarseggia, ma anche bei ricordi, come le feste nei locali del piccolo dopolavoro, gli innamoramenti, lasciati o scoperti proprio in quel periodo, il tutto in una babele di lingue e accenti, per la presenza, come abbiamo visto, di uomini di tante nazioni e regioni diverse.
E si ricordano le poche azioni militari: a febbraio si occupa Caldarola per distribuire alla popolazione il grano dei silos. Per le incursioni si attende il comunicato in codice ascoltando Radio Londra che talvolta – raramente – annuncia il lancio di armi, munizioni ed esplosivi.
In ogni caso il piccolo nucleo iniziale si allarga e, pur senza assomigliare lontanamente a un esercito, dispone di un discreto potenziale di fuoco anche grazie agli Sten paracadutati dagli inglesi. Tra marzo e aprile, mentre la linea del fronte si avvicina alle Marche, i tedeschi e i fascisti aumentano la pressione sulle bande. Il 10 maggio 1944 gli Alpenjaeger attaccano Monastero. Per la prima volta in forze e decisi a farla finita con i partigiani. Forti contingenti di fascisti e truppe di montagna tedesche si attestano a Monastero e iniziano a perlustrare i dintorni. La sorpresa tuttavia non riesce. Già in preallarme i gruppi riescono ad arretrare verso posizioni più defilate. Uno dei luoghi prescelti è l’antico convento dei frati Clareni, tenaci francescani che alla fine del cinquecento edificarono uno spoglio luogo di preghiera e meditazione in un quasi accessibile pendio di un monte che sovrasta il fiume Fiastrone: uno scenario eccellente per condurre vita contemplativa. Vicino ai ruderi del convento una serie di grotte, Monastero-Grotte appunto, diventano formidabili posizioni e nascondigli per i partigiani. Le due forze si fronteggiano per un po’ in un pericoloso nascondino tra le rupi e le scoscesi valli per poi entrare in contatto la notte del 13 maggio. Nella confusa azione notturna, che si protrae fino all’alba, tra gli assalitori si contano alcuni morti, mentre tra i partigiani si lamentano quattro feriti, tra cui il vicecomandante Del Missier, salvato da un medico, amico di Pantanetti, che lo tratterrà a riposo fino a maggio inoltrato.
Ora il peggio però a passato. A giugno gli alleati attaccano la linea Machtig, lungo il fiume Chienti. Il Cln di Macerata il 16 giugno invia al comando del Gruppo bande Nicolò l’ordine di puntare sul capoluogo. Nei giorni successivi, villaggi e paesi cadono nelle mani dei partigiani in marcia verso Macerata. I tedeschi, minacciati da vicino dalle colonne alleate, offrono scarsa resistenza. A Urbisaglia la gente è in piazza per accogliere i ragazzi del gruppo Nicolò. Tra polacchi e bersaglieri della Nembo, inquadrati nell’Ottava armata britannica, da una parte, e partigiani dall’altra si apre una gara per chi è il primo a raggiungere Macerata. La vincono come è noto i partigiani. E’ la colonna di Pino Pinci, un napoletano trapiantato a Macerata, a entrare per primo nel capoluogo. La vicenda, con aspetti anche divertenti, viene raccontata dallo stesso Pantanetti in una delle pagine più piacevoli del suo libro.
Il 2 febbraio 1945 si arruola volontario al reggimento Cremona, zona di operazione Lazio.
Dal 1972 al 1978 è stato Vice Presidente dell’Istituto regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nelle Marche.
Suoi scritti: A. Pantanetti, Il Gruppo Bande Nicolò e la liberazione di Macerata, Argalia, Urbino 1973.
Bibliografia: R. Cruciani (a cura di), Augusto Pantanetti comandante partigiano, Comune di Urbisaglia, 2004.