Cerreto d’Esi

Cerreto d’Esi è un piccolo paesino sulla strada tra Matelica, Albacina e Fabriano, a ridosso del monte San Vicino. Rispetto ai vicini comuni della Vallesina, Cerreto non conobbe, durante i dieci mesi di guerra, un’occupazione stabile da parte dei nazisti e dei reparti fascisti. I cittadini continuarono a governarsi da soli in quella che, per alcuni storici, può essere considerata a tutti gli effetti una piccola “repubblica libera”. All’inizio della strada Settempedana che da Albacina porta a Cerreto e poi a Matelica i tedeschi avevano posto il cartello ≪Achtung! Bandengebiete≫ (Attenzione! Territorio di bande). Nel corso dei mesi si verificarono diverse azioni di guerra e tentativi di rastrellamento, ma quella zona non cadde mai sotto il controllo permanente degli occupanti. Neppure quando il fronte si fermò a Matelica per quindici giorni e Cerreto divenne terra di nessuno, i fascisti e i tedeschi esercitarono una qualsiasi autorità su di essa.

La nascita e l’organizzazione di questa piccola repubblica autonoma si deve principalmente a un gruppo di ufficiali dell’esercito, fermatisi in zona perché impossibilitati a proseguire verso Sud, e a locali antifascisti, sacerdoti, come don Antonio Parri e, in seguito, anche comandanti partigiani. Questo nucleo militare, con alle spalle un organismo civile, prediligeva una strategia di azioni militari mirate, che procurassero il massimo danno agli occupanti e il minimo ai civili. Per questo, nei primi giorni di gennaio 1944 si tenne un incontro clandestino tra il comandante Pirotti e alcuni notabili di Cerreto. Quest’ultimi chiedevano ai partigiani di evitare azioni inconsulte che avrebbero potuto avere tragiche conseguenze sulla popolazione e, in cambio, avrebbero assunto il peso della logistica della formazione. Si diede così vita al Patto di Cerreto d’Esi, che come disse Pirotti segnò un cambiamento tattico: ≪Le azioni di disturbo e sabotaggio si spostano sul versante est, verso Serra San Quirico e Cingoli. (…) Sul versante ovest avevamo rifornimenti regolari. Sul versante est pagavamo i rifornimenti di cui avevano bisogno. Non prelevavamo nulla fuori di queste regole≫ (Ciccardini 2005, p.34).

Nel momento in cui non esisteva più un’autorità costituita, la comunità intera si propose di mantenere, per quanto possibile, una vita civile ordinata e solidale. Pur sostenendo in molti modi le formazioni partigiane della zona, in particolare il gruppo Pirotti, non si permettevano le espropriazioni indebite, ma solo approvvigionamenti volontari. Inoltre la comunità pensò soprattutto a tutelare se stessa, la sua popolazione e i tanti soldati in fuga, gli ebrei perseguitati e gli sfollati che accolse nel corso dei mesi. Con l’inasprirsi della guerra, un numero sempre maggiore di persone chiesero ospitalità ai cerretesi e il paese passò da 3000 a 6000 abitanti.

GUERRA DAL CIELO

Nella notte del 3 marzo 1944, nel podere Baldoni, in località Venza di Cerreto d’Esi, cadde il quadrimotore Halifax inglese, adibito al rifornimento dei partigiani. Cesare Baldoni morì di infarto per lo spavento. Il relitto dell’aereo diventò fonte di approvvigionamento per lamiere, metalli, attrezzi e sete di paracadute. L’11 marzo sei fortezze volanti, provenienti da nord, una volta giunte all’altezza del paese, sganciarono il loro carico di bombe. Fortunatamente non ci furono danni in quanto finirono solo sopra il Rio Bagno, piccolo affluente dell’Esino, infossato a pochi metri dalle prime case del paese. Tuttavia perse la vita un bambino di due anni che la madre aveva portato con sé nell’andare a lavare al fiume. Il bombardamento apparve fin da subito alquanto strano: fino ad allora si erano sentiti solo da lontano i bombardieri diretti in Ancona o a Fabriano. Si ipotizzò che i bombardieri non avessero riconosciuto l’obbiettivo da colpire o volessero solo liberarsi delle bombe non utilizzate. In ogni caso, seguirono altri bombardamenti, soprattutto notturni, che allarmarono sempre più il paese e convinsero la maggior parte dei cerretesi e degli sfollati a spostarsi nelle campagne limitrofe.

LA LIBERAZIONE

Cerreto non fu occupata dai tedeschi neppure nel corso della ritirata verso nord. Questi costituirono una linea difensiva nelle alture a nord di Cerreto, fatta da semplici trincee per difendere il nodo stradale di Albacina. Se la ritirata avesse infatti dovuto seguire la via Roma-Ancona, sarebbe stato vitale per i tedeschi chiudere lo sbocco della Settempedana. Probabilmente credevano poco in questa possibilità anche loro, visto che vi disposero solo un piccolo reparto che alla fine non fu mai impegnato dagli alleati. Quest’ultimi infatti indugiarono a Matelica, aspettando che i tedeschi se ne andassero da soli.

Il 13 luglio, quando Fabriano fu raggiunta dai reparti alleati provenienti dalla Flaminia, i tedeschi che presidiavano la Settempedana se ne andarono per il Sentino. Così, il 14 fu finalmente liberata Cerreto d’Esi. Tuttavia, la sera della Liberazione, una pattuglia tedesca apparve d’improvviso in piazza e catturò dei partigiani e delle persone che erano lì presenti, tra cui dei membri del Comitato di Liberazione cittadino. Nell’uscire dal paese con i partigiani prigionieri e i civili arrestati, i tedeschi si scontrarono con Giuseppe Chillemi, una sentinella messa a guardia dell’ingresso del paese. Ne seguì un aspro conflitto a fuoco. La sentinella fu ferita a morte e i tedeschi si allontanarono frettolosamente portandosi via i partigiani catturati e rilasciando i civili.

Bibliografia
T. Baldoni, La Resistenza nel Fabrianese. Vicende e protagonisti, Il lavoro editoriale, Ancona 2002.
B. Ciccardini, La Resistenza di una comunità : la Repubblica autonoma di Cerreto d’Esi, Studium, Roma 2005.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.