Piobbico
Per la sua posizione geografica di paesino sperduto tra i monti e lontano dalle grandi arterie stradali, Piobbico fu scelto dal regime fascista come uno dei centri destinati al soggiorno obbligato di confinati o esiliati provenienti da paesi occupati dall’asse italo-tedesca. In seguito all’arresto di Mussolini e al clima di confusione che ne seguì, i controllori svolsero il proprio compito con poca autorevolezza e i confinati ne approfittarono per rendersi liberi. Alcuni tentarono di far ritorno in patria, altri entrarono nei primi nuclei partigiani. In generale, l’antifascismo trovò nei confinati, alleati capaci di seminare nella popolazione il seme della libertà (Marini, 2000 p.60-61).
Stando alle carte di polizia, proprio a Piobbico si verificò nel febbraio 1944 uno dei fatti più gravi per proporzioni, modalità e ripercussioni in termini di propaganda sulla popolazione: «nelle prime ore del 1° di detto mese oltre cinquanta ribelli inquadrati, armati di armi automatiche, assalirono la caserma dei carabinieri di Piobbico, una prima volta senza risultati per la reazione dei militari, svaligiarono negozi, saccheggiarono la tesoreria del Comune, incendiarono la sede del comune stesso, asportarono armi depositatevi, ritornarono più tardi in circa 100 all’assalto della caserma dei carabinieri, sfondandone la porta disarmando i difensori, allontanandosi poscia al canto di “bandiera rossa”» (Giacomini, 2008 p.241). Effettivamente il distaccamento “Picelli”, al comando di Giannetto Dini, quella mattina circondò il castello Brancaleoni ove era situata la caserma dei carabinieri. Nel fratempo Leopold Verbovsek, detto Poldo, assieme ad alcuni compagni, occupò il municipio, distruggendone la documentazione relativa alle classi 1922-23-24, al fine di impedire il reclutamento dei giovani nati in quel triennio. Visitarono inoltre la Banca locale e l’Ufficio postale requisendone i fondi; tolsero da un negozio di uno speculatore fascista tutte le stoffe che vennero distribuite tra i contadini. La sede del fascio e altri locali delle organizzazioni fasciste furono devastati. Le autorità repubblichine furono costrette ad inviare presidi in tutti i paesi della provincia per difendere gli interessi tedeschi, specie sulle strade (La 5^ Brigata Garibaldi “Pesaro”, Pesaro 1980, p.22).
A detta di Mari si trattò soprattutto di un fatto dimostrativo che però ebbe grande ripercussione e riuscì a creare notevole allarme tra le fila nemiche (Mari, 1965 p.145-6).
Bibliografia
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.
G. Mari, Guerriglia sull’Appennino. La Resistenza nelle Marche, Argalia, Urbino 1965.
U. Marini, La Resistenza nel Candigliano, Metauro, Fossombrone 2000.
Provincia di Pesaro e Urbino, Anpi Provinciale, La 5^ Brigata Garibaldi “Pesaro”, Pesaro 1980.